La genesi

Enrico Cogno, dalla finestra del suo ufficio alla Pfizer Italiana a Roma, della quale era Responsabile della Comunicazione, guardò fuori per controllare se stava ancora piovendo. Erano le 17:00 del 3 ottobre 1978. Cadeva ancora una pioggerella leggera, ma tra una nube e l’altra era uscito un raggio di sole, creando un doppio arcobaleno.

Di lì a un’ora si sarebbe svolta la conferenza stampa di presentazione di due corsi del suo nuovo progetto didattico, il Centrostudi Comunicazione; un arcobaleno è sempre un segno di buon augurio: due archi multicolori, uno per ognuno dei due corsi da inaugurare (uno di giornalismo, l’altro di relazioni pubbliche) appariva come un ottimo auspicio.

Alle 17,30 Cogno raggiunse la sede dell’istituto, in via dei Fori Imperiali, accanto alla Basilica di Massenzio, sotto l’arco di due bellissimi arcobaleni.

Enrico Cogno L'idea di quel nuovo progetto di formazione covava nella sua mente già da un anno, da quando, nel 1977 in un convegno a Venezia sulla pubblicità, sentì Umberto Eco affermare (in risposta ad una feroce contestazione della comunicazione come “fenomeno manipolativo, subdolo e asservito al sistema”) che sarebbe stato assurdo, come pretendeva il contestatore, creare un esercito di censori che impedissero la diffusione dei messaggi: “Non serve un esercito di censori - disse Eco - semmai un esercito di docenti per fornire alla massa gli strumenti culturali per la decodifica dei messaggi”.

Foto 2 Già, un esercito di formatori: era bello, diceva Enrico Cogno, pensare di farne parte.

Sul traghetto che riportava i congressisti dal Lido agli alberghi di Venezia, i due, approfondirono le possibilità di questo progetto: una scuola per comunicatori.

Umberto Eco proseguì su questa linea in modo autonomo in ambito universitario.

Cogno, per potersi dedicare con l’opportuna attenzione a questo progetto, dopo essere stato responsabile per dodici anni del servizio comunicazione della Pfizer Italiana, modificò quella collaborazione in forma di consulenza e si ritrovò con tutto il tempo che gli serviva per attuare quel progetto.

Foto 3Come sede della nuova iniziativa scelse la struttura nella quale aveva svolto, con un successo che lo sorprese, le sue prime esperienze come formatore: la sede romana dell’Istituto Europeo di Design, che in seguito utilizzò l’acronimo di IED, un’iniziativa di Francesco Morelli, già sperimentata con successo a Milano qualche anno prima.

Dopo un breve periodo come vice direttore della sede romana, Morelli gli offrì la direzione. Nell’istituto s’insegnavano, in quel periodo, graphic design, fotografia, architettura d’interni, consulenza del lavoro e altre discipline delle quali Cogno non aveva maturato un’esperienza diretta, come invece aveva potuto fare nel giornalismo, nelle relazioni pubbliche, nella pubblicità e nel marketing. Pensò che sarebbe stato stimolante occuparsi proprio di questi settori. Dedicò alcune giornate a documentarsi sui “bisogni formativi del mercato” per predisporre i piani di studio e individuare i docenti più adatti.

Non voleva riproporre un modello di tipo universitario “all’italiana”, certamente di buon livello sul piano degli approfondimenti teorici, ma poco orientato alla pratica. Aveva in mente un tipo di didattica molto operativa, un vero laboratorio culturale, come quelli realizzati in altri parti del mondo, negli USA in particolare.

Cercò un nome per l’iniziativa che obbligatoriamente contenesse il termine comunicazione e non andasse in conflitto con altri già esistenti: nacque così il nome “Centrostudi di Comunicazione” con il sottotitolo “Scuola laboratorio”.

Poco dopo, la dicitura “Centrostudi di Comunicazione” perse la “di” e divenne Centrostudi Comunicazione. Un piccolo vezzo (che creò sempre grossi problemi) fu quella di pretendere che Centrostudi fosse scritto tutto unito, senza separazione tra i due termini.

Poi, dal 1983 in poi, fu necessario aggiungere anche il nome della società che era stata nel frattempo creata, la Enrico Cogno & Associati Srl, per confermare l’aspetto patronimico del naming.  Data la lunghezza della denominazione e non volendo ricorrere a un acronimo (non amato) la scuola venne sempre chiamata da tutti, quasi affettuosamente, “Il Centrostudi”.

Un buffo aneddoto, che Enrico Cogno era solito ricordare, riguardava un colloquio con la madre di una candidata che intendeva iscrivere la figlia a uno dei corsi. Quando lui, che entrò per affiancare l’assistente durante l’incontro, si presentò alla madre con la sua consueta formula di saluto “Molto lieto, Enrico Cogno”, questa fece un balzo di sorpresa: “Ma allora” esclamò stupefatta la donna ”Lei è vivo!”. Poi si rese conto della gaffe e per scusarsi disse: “Sa, mia figlia ha frequentato l’asilo alla Montessori, le elementari alla Carducci, le medie all’Alfieri, il liceo al Tasso… siccome sono tutti morti, pensavo che le scuole non potessero portare il nome di persone vive….”

(AC/ALC)

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