Lo scenario sociale del 1978

Il 1978 era l’anno dell’elezione di Sandro Pertini e del primo papa straniero, il polacco Wojtyla; era il periodo degli “anni di piombo” in cui le Brigate Rosse gambizzavano i giornalisti e i formatori, un periodo nel quale 167 persone persero la vita in modo violento, tra questi Aldo Moro, ucciso barbaramente dopo una estenuante ricerca dello statista in tutta la nazione. La mafia, per ordine di Tano Badalamenti, uccideva Peppino Impastato. Era l’anno dell’abolizione dei manicomi grazie alla legge Basaglia, della depenalizzazione dell’aborto, della fine di Carosello, con conseguente nascita degli spot e l’avvento della televisione a colori. Il 1978 era anche l’anno in cui nasceva la prima bimba in provetta, Louise Brown, anni in cui PR per alcuni significava soltanto Pranzi e Rinfreschi e nessun giovane sapeva chiaramente cosa avrebbe fatto una volta terminato il periodo di formazione, soprattutto nei settori allora semi-sconosciuti della comunicazione, un fenomeno importante, ma non certo attrattivo come poi sarebbe divenuto negli anni seguenti.

Vi era una tale incomprensione sui reali ruoli degli operatori della comunicazione e dell’informazione che per dimostrarlo è utile riportare un aneddoto, talmente paradossale che oggi può apparire inventato, mentre, invece, è documentato dai testi.

Un parlamentare della Democrazia Cristiana (da tempo defunto, per cui omettiamo il nome per rispetto) nel nobile tentativo di qualificare l’attività dei tecnici pubblicitari (comunicatori all’epoca privi di riconoscimenti ufficiali) fece predisporre un disegno di legge allo scopo di creare un Albo dei Pubblicitari. Si sa, un po’ di voti di persone riconoscenti servono sempre. Solo che, per avere una base normativa di riferimento, usò il testo relativo alla figura del pubblicista, che per assonanza lui confuse con il termine pubblicitario.

La segretaria dell’onorevole fu incaricata di sostituire, dal documento dell’Ordine dei Giornalisti, elenco pubblicisti, i due termini in tutte le pagine, ma nella penultima pagina si dimenticò di fare la sostituzione e, nel disegno di legge per dare ufficialità alla figura del pubblicitario, rimase la parola pubblicista, a dimostrazione del misfatto. Non se ne accorse nessuno. Il disegno di legge venne discusso dalla commissione incaricata ma, mentre la procedura lentamente avanzava, il governo cadde e la proposta non ebbe seguito. Fu una fortuna, perché se la proposta fosse stata accolta, i pubblicitari avrebbero dovuto cambiare per legge la loro attività. Questo, per dimostrare l’ignoranza esistente, all’epoca, sulle professioni della comunicazione.

In ambito universitario non andava tanto meglio. L'università non considerava ancora la comunicazione un fenomeno così significativo al punto da essere destinataria di studi specifici. Unica eccezione era l’esperienza realizzata dal Prof. Francesco Fattorello, un valido docente della Sapienza: sin dal 1947 questo comunicatore ante litteram aveva fondato l’Istituto di Pubblicismo, organizzando in seguito un biennio universitario presso  “La Sapienza” di Roma, anticipando così di gran lunga quella che sarebbe poi diventata la vasta serie di corsi in Scienze della Comunicazione presso tutti gli atenei italiani.

Nel settore della formazione privata, a Milano era attiva una scuola di pubblicità che formò i primi creativi italiani di successo, la Davide Campari. Il noto brand delle bevande fu solo per un breve periodo lo sponsor della scuola, in modo più virtuale che reale; in realtà il nome era stato scelto da una brillante imprenditrice milanese in virtù delle storiche attività pubblicitarie della Campari, iniziate nel 1890, con le collaborazioni di artisti come Marcello Dudovich, Adolf Holenstein, Leonetto Cappiello, Enrico Sacchetti, Marcello Nizzoli, Carlo Fisanotti, Franz Marangelo e, negli anni ‘60, di Bruno Munari con le sue declinazioni grafiche del nome Campari.

Oggi, quasi nessuno che sia nato negli anni ‘60 e ’70 del secolo scorso, anche attivo nell’ambito pubblicitario, conosce queste due istituzioni. E’ un vero peccato.

E fu proprio in quel periodo strano e agitato, che nel 1978 Enrico Cogno ebbe la consapevolezza che al mondo della comunicazione d'impresa sarebbe stato molto utile poter disporre di un approccio didattico diverso, multidisciplinare e interdisciplinare, soprattutto pluri-specialistico.

Al termine delle domeniche trascorse a preparare il progetto del Centrostudi Comunicazione, Enrico Cogno propose a Francesco Morelli di utilizzare un paio di aule che, nelle ore serali, erano libere. L’orario serale avrebbe consentito anche di utilizzare, come docenti, personalità che di giorno non sarebbero state disponibili e permetteva anche, agli iscritti che già lavoravano, di poter frequentare i corsi nelle ore lasciate libere dall’attività professionale. Fece predisporre delle locandine nelle quali veniva presentato il programma.

Margherita BrunoMargherita Bruno, s’illuminò alla loro vista e tappezzò Roma, diventando sin da questo gesto promozionale, e poi con la collaborazione quotidiana a tutto il progetto per ben trent’anni, il vicepresidente co-fondatore e direttore generale del Centrostudi Comunicazione.

 

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